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Sappiamo ancora leggere un libro nell’era digitale?

Tre video. Settantadue milioni di visualizzazioni su TikTok. Contenuto totale: circa novanta secondi di strane creature digitali che fanno cose assurde. Se sommassimo il tempo che l’umanità ha dedicato collettivamente a guardare solo questi tre TikTok (per una singola persona: 75.000 ore, ovvero 8 anni e mezzo), probabilmente qualcuno di noi, in qualche parte remota del mondo, avrebbe costruito un’altra piramide di Giza. O inventato una vera lingua universale.

 

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Stiamo provocando, chiaramente: non siamo qui per fare la morale a nessuno. Non c’è niente di intrinsecamente sbagliato nel guardare un capibara felice nella sua vasca da bagno.

Il problema – un fenomeno documentato, misurato, certificato – emerge quando quei novanta secondi si moltiplicano per ottanta volte al giorno, tutti i giorni, per mesi. Quando il nostro cervello viene allenato, sistematicamente e senza sosta, a non concentrarsi mai per più di qualche minuto di seguito su nulla di costruttivo.

 

I numeri che non vorremmo vedere

L’OECD nel 2023 ha deciso di lanciarsi in un esercizio piuttosto ambizioso: testare le competenze di alfabetizzazione, calcolo e problem-solving di 160.000 adulti in 31 paesi. I risultati? In un decennio, le capacità di lettura sono peggiorate significativamente in 11 paesi, sono rimaste stabili in 14, e sono migliorate solo in due: Finlandia e Danimarca.

Negli Stati Uniti, il 28% della popolazione adulta si ferma al livello 1 di literacy, ovvero una capacità di leggere che, in termini di paragone, ci si aspetterebbe da un bambino di 10 anni.

E in Italia è peggio: il 35% degli adulti italiani (rispetto a una media OCSE del 26%) si colloca al Livello 1 o inferiore in literacy. La stessa cosa vale per la numeracy. In parole povere, un terzo degli adulti italiani si trova in una condizione di analfabetismo funzionale, fa fatica a leggere un testo o ha scarse competenze di calcolo.

capacità di literacy, numeracy nei Paesi OCSE: in Italia sappiamo ancora leggere?

Fonte: OECD.

 

Ma forse uno dei dati più inquietanti viene dalle università d’élite americane. Alla prestigiosa Columbia, i professori hanno dovuto ridurre il carico di lettura del 60%. Dove una volta si assegnavano 200 pagine a settimana, oggi se ne assegnano meno di 80. Non perché gli studenti siano meno intelligenti – sono stati ammessi con gli stessi criteri iper-selettivi di sempre – ma perché sono cambiate radicalmente le abitudini di consumo di materiale accademico, giornalistico o di svago, privilegiando sempre di più i contenuti visivi o audiovisivi.

Nicholas Dames, docente di letteratura a Columbia dal 1998, intervistato dalla giornalista Rose Horowitch, ricorda il momento in cui ha realizzato ciò che prima gli sembrava assurdo: una studentessa del primo anno gli ha confessato che, nella sua scuola superiore pubblica, non le era mai stato chiesto di leggere un libro completo. Estratti, poesie, articoli di giornale, sì. Ma mai un libro dall’inizio alla fine.

the elite college students who can't read books - The Atlantic

Fonte: The Atlantic.

 

Ma cosa succede al nostro cervello quando smettiamo di leggere?

Diventa molto più potente. La ricercatrice ed esperta di alfabetizzazione Maryanne Wolf ha dimostrato che la lettura prolungata è un processo che, letteralmente, riprogramma il nostro cervello, in meglio.

Nelle sue pubblicazioni, Wolf afferma che leggere aumenta nettamente il vocabolario, sposta l’attività cerebrale verso l’emisfero sinistro (più analitico, mentre il destro è più istintivo), affina la capacità di concentrazione, il ragionamento lineare e il pensiero profondo. Le abitudini di pensiero formate da generazioni di lettori hanno contribuito alla nascita della libertà di espressione, della scienza moderna, della democrazia liberale.

Le abitudini cerebrali formate dalla lettura digitale, d’altro canto, sono radicalmente diverse. Cal Newport, nel suo bestseller “Deep Work“, mostra come l’ambiente digitale sia, purtroppo, “ottimizzato per la distrazione”: i vari sistemi competono per la nostra attenzione con notifiche e richieste continue. Le piattaforme social, lo sappiamo, sono progettate per creare dipendenza, e calibrate per la massima compulsività, piuttosto che per la sfumatura o il ragionamento ponderato.

Il risultato? Il nostro cervello cambia: diventiamo maghi del cosiddetto “multitasking compulsivo”, sviluppando un’innata capacità di distrarci, passare ad attività superficiali come lo scrolling, e ritornare a ciò che stavamo facendo prima, come se niente fosse. Acquisiamo a tutti gli effetti nuove skill che però, secondo la tesi di Newport, “indeboliscono la nostra capacità di concentrazione e di attenzione profonda, frammentando l’attenzione, riducendo la capacità di lavorare senza distrazioni e spingendoci verso attività superficiali e a basso impatto

 

La disuguaglianza sociale diventa discrepanza cognitiva

Ecco dove la questione diventa davvero spinosa. Come con il cibo spazzatura (consumato in quantità maggiori da chi è meno abbiente), anche l’impatto cognitivo dei media digitali colpisce più duramente chi sta in basso nella scala socioeconomica. I bambini poveri passano circa due ore in più al giorno davanti agli schermi rispetto ai loro coetanei più ricchi. E l’esposizione a più di due ore quotidiane di screen time ricreativo è associata a performance più basse nella memorizzazione, nella velocità di elaborazione dei pensieri, nei livelli di attenzione e nelle competenze linguistiche.

Nel frattempo, le élite americane stanno correndo ai ripari. Tra il 2019 e il 2023, negli Stati Uniti hanno aperto oltre 250 nuove scuole private con un’etica centrata sull’alfabetizzazione dei “grandi libri”. Bill Gates ed Evan Spiegel (co-fondatore di Snapchat) parlano pubblicamente di limitare l’uso degli schermi dei loro figli. Altri assumono babysitter senza telefono, oppure mandano i figli alle scuole Waldorf dove i cellulari sono banditi. Tutto bellissimo, se non fosse che la retta per iscrivere i propri figli alla Waldorf School of the Peninsula (in piena Silicon Valley) ammonta a 34.000 dollari l’anno solo per le elementari…

Secondo l’analisi della giornalista Mary Harrington, autrice di un interessantissimo articolo pubblicato dal New York Times con il titolo “Is thinking becoming a luxury good?”, un’educazione libera dalle distrazioni dei cellulari sta diventando un privilegio, proprio come se fosse un bene di lusso.

 

La Gen Alpha è in pericolo?

La Gen Alpha è la prima generazione nata interamente nel XXI secolo, comprendendo i nati tra il 2010 e il 2025. I più grandi sono venuti al mondo insieme a Instagram (lanciata il 6 ottobre 2010), i più piccoli mentre l’intelligenza artificiale entrava nelle routine quotidiane dei loro genitori. In mezzo, venivano rilasciate al mondo Snapchat, Twitch, WeChat, Discord, TikTok.

Questa è solo una parte del contesto nel quale la Gen Alpha sta crescendo. Abbiamo parlato delle difficoltà nell’apprendimento. Abbiamo parlato dei pericoli dei social, quando utilizzati in un certo modo. In un nostro precedente articolo, abbiamo analizzato il fenomeno del brain rot nei suoi lati più critici e soprattutto nei suoi pericoli per la Gen Zeta e la Gen Alpha.

brain rot italiano fenomeno social tiktok 2025

Noi non possiamo sapere come sarà il mondo tra 10 anni, figuriamoci se possiamo indovinare come cambieranno i percorsi scolastici o le strutture cerebrali dei giovanissimi nel corso del tempo. Ma prendere consapevolezza del fatto che esistono strade alternative – almeno per chi ne ha la possibilità – per sviluppare tutti i propri tipi di intelligenza e non addormentarne qualcuno, è fondamentale.

 

Staccare non significa spegnersi

Prendiamo un momento esemplificativo: le nostre pause pranzo qui in Propaganda3. Viste dall’esterno o descritte attraverso delle parole, sono strane. Qualcuno gioca a carte, qualcuno dorme. C’è chi legge (anche grazie alla nostra biblioteca aziendale!) e c’è chi guarda serie tv. Alcuni suonano la chitarra e cantano, mentre altri chiacchierano di sport, musica, politica, di cosa cucineranno a cena o di cosa compreranno al supermercato. Qualcuno, perché no, si prende un attimo per scrollare su TikTok, su Instagram, o su qualsiasi altro social, e va bene uguale.

La nostra diversità è ciò che ci rende liberi e qui in Propaganda abbiamo la fortuna di sentirci liberi tutti i giorni. Di poter scegliere. Ed è quello che ci piacerebbe ricordare a tutti: una possibilità di scelta, la stragrande maggioranza di noi, ce l’ha. Non stiamo dicendo che dovete bandire TikTok o sentirvi in colpa per quel video di quindici secondi che vi ha fatto ridere. Stiamo dicendo che esistono milioni di modi per rilassarsi e staccare un attimo che non richiedono di allenare sistematicamente il nostro cervello a non concentrarsi mai.

Ma sappiamo anche che, se siete arrivati fino a qui, avete appena scelto di dedicare cinque minuti a fare esattamente l’opposto: vi siete concentrati, avete letto, avete fatto “sì” con la testa dopo aver letto una frase che vi sembrava interessante, oppure pensato “mh” su una che non ci convinceva. Tutto questo è concentrazione.

Il nostro augurio è che siate contenti e contente di aver dedicato 5 minuti del vostro tempo ad informarvi, ad approfondire un tema che vi sembrava importante, a scoprire qualcosa di nuovo. E perché no, a condividerlo con amici e colleghi.

 

Fonti

Is thinking becoming a luxury good? (New York Times)
https://www.nytimes.com/2025/07/28/opinion/smartphones-literacy-inequality-democracy.html

Are we becoming a post-literate society? (Financial Times)
https://www.ft.com/content/e2ddd496-4f07-4dc8-a47c-314354da8d46

The elite college students who can’t read books (The Atlantic)
https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2024/11/the-elite-college-students-who-cant-read-books/679945/

Andrea Varano su TikTok, video pubblicato il 1° settembre 2025.
https://www.tiktok.com/@andrea.varano/video/7545135896266345751?_t=ZN-8zNGlXJCsWE&_r=1

Katina Bajaj su TikTok, video pubblicato il 12 agosto 2025.
https://www.tiktok.com/@katina.bajaj/video/7537784305041313055?is_from_webapp=1&sender_device=pc&web_id=7528001233480533526

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